Presentazione del volume di Sua Santità Kirill “Libertà e responsabilità: alla ricerca dell’armonia. Dignità dell’uomo e diritti della persona” Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore – 17 maggio 2010
Condotti dallo Spirito…
Saluto anzitutto con viva cordialità le numerose e illustri autorità qui
presenti. Desidero poi ringraziare personalmente tutti coloro che in questa
mattinata mi hanno offerto una serie di significative e gradite opportunità.
Così l’opportunità di assistere alla Divina Liturgia celebrata, nella
Basilica del nostro grande e santo patrono Ambrogio, da Vostra Eminenza il
Metropolita Hilarion, che ho avuto la gioia di incontrare per la prima volta e di
conoscere nella sua importante responsabilità di Presidente del Dipartimento
delle Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca.
L’opportunità poi di leggere con grande piacere i discorsi e gli interventi
di Sua Santità Kirill, il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, pubblicati –
grazie alla curatela di Pierluca Azzaro – dalla Libreria Editrice Vaticana
congiuntamente con Sofia: Idea Russa d’Europa. Centro di Alti Studi di
Documentazione: un’iniziativa, questa, di evidente portata ecumenica, che mi
ha fatto rivivere gli incontri fraterni e le affabili conversazioni che ho avuto con
Kirill, allora Metropolita, a Milano in Arcivescovado e in occasione della mia
visita a Mosca, ove mi recai nel settembre 2007, invitato, grazie anche al suo
interessamento, dal suo predecessore il Patriarca Alessio II.
L’opportunità infine di prendere ora la parola in occasione di questa
“presentazione” del libro, che avviene nella prestigiosa sede dell’Università
Cattolica alla presenza del Magnifico Rettore che ha accolto e promosso questa
iniziativa e – aggiungo con ulteriore motivo di apprezzamento – nella nostra
città di Milano, dove da anni la Chiesa Ambrosiana, in dialogo con le altre
Chiese cristiane, promuove cammini ecumenici e guarda con particolare
attenzione e simpatia alla grande spiritualità dell’Ortodossia e della santa
Russia.
Aspetti originali e sensibilità vicine
Il titolo dato alla pubblicazione Libertà e responsabilità: alla ricerca
dell’armonia. Dignità dell’uomo e diritti della persona definisce non solo i
contenuti del pensiero dell’Autore espressi in questa raccolta di interventi
compresi tra il 2000 e il 2008, ma anche e soprattutto ricorda i termini che
entrano in gioco nell’attuale sfida etica e culturale che le società pluraliste e,
in esse, le Chiese e le organizzazioni religiose devono affrontare.
Libertà e responsabilità sono due termini che si richiamano a vicenda, in
modo – oserei dire – imprescindibile. Non si può infatti parlare di libertà senza
responsabilità e viceversa. La ricerca poi della loro armonia, nel pensiero di
Kirill, è condotta in modo originale e, nello stesso tempo, secondo la tipica
visione spirituale e culturale dell’Ortodossia russa, che si caratterizza per un
approccio sinfonico alla realtà. È il tentativo di tenere insieme la modernità
delle questioni con la tradizione della Chiesa Ortodossa.
In Kirill è ricorrente la preoccupazione per l’Europa, verso la quale egli
vorrebbe che le Chiese fossero più impegnate per darle un’anima. Anche se
non fa parte dell’Unione Europea, la Russia appartiene all’Europa per quanto
concerne la sfera del diritto e, ancor prima, per la sua storia e la sua cultura.
Kirill infatti concepisce l’Europa “come fenomeno culturale e spirituale unico nel
suo genere, formatosi nei secoli e che nei nostri giorni ha subito radicali
cambiamenti” (p. 146). “Il nostro grande timore – egli affermava a Vienna nel
maggio 2006 – consiste nel fatto che l’Europa, una volta perduto il legame con il
Cristianesimo, possa, in ultimo, arrivare a forme di violenza morale o addirittura
fisica sulla persona… La storia della Russia del XX secolo deve servire da
ammonimento per l’Europa moderna… Il secolarismo, lo strappo dalle proprie
radici spirituali, rappresenta dunque un grave pericolo per l’esistenza della
civiltà europea” (p. 149).
Vorrei sottolineare che la visione di Kirill nasce nell’alveo di una
singolare esperienza, quella che il popolo russo ha subito e sofferto in settanta
anni di ateismo liberticida. Attualmente la Russia vive una stagione di
rifioritura della propria tradizione ortodossa e della vita civile. In Russia si sta
anche cercando un’inedita collaborazione tra Chiesa e Stato nel ripensare in
termini positivi i rapporti tra religioni e società. Per questo il discorso del
Patriarca non ha l’astrattezza di chi parla da una cattedra accademica, ma ha
l’autorevolezza e la concretezza che provengono dal suo personale vissuto,
dalla storia di prove e sofferenze del suo popolo, dalla ricerca e
sperimentazione di vie nuove.
Inoltre, troviamo alcune convergenze significative tra aspetti del
pensiero di Kirill e sensibilità espresse da Papa Benedetto XVI. Già durante i
due pontificati precedenti di Giovanni Paolo II a Roma e di Alessio II a Mosca
erano emersi, tra il Cattolicesimo romano e l’Ortodossia russa, punti in
comune riguardo ai temi dell’etica e dell’antropologia. Era infatti l’allora
Metropolita Kirill a rappresentare la Chiesa Russa nelle sue Relazioni esterne e
proprio a quell’epoca risalgono i suoi interventi che ora leggiamo riuniti in
questa pubblicazione.
Poi, in un suo intervento del 2005, egli stesso dà testimonianza della
sua intesa con il nuovo Papa: “Sono stato ricevuto da Papa Benedetto XVI in
udienza privata il giorno successivo alla sua intronizzazione. Abbiamo parlato di
questo: oggi la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa sono le uniche
naturalmente alleate nella dura lotta in corso che vede contrapposti da un lato
tradizione cristiana e dall’altro l’ideologia neoliberale secolarizzata. Insieme ai
cattolici possiamo difendere i valori cristiani. Abbiamo già maturato
un’esperienza comune in questo senso: è il fecondo dialogo intrapreso nel corso
della preparazione del progetto di Costituzione europea. È in quel frangente che
abbiamo raggiunto un’intesa” (pp. 107-108).
Un’intesa, questa, che ora ci auguriamo possa esprimersi, quanto
prima, anche nell’incontro solenne tra i due Primati e nell’ulteriore
collaborazione ecumenica tra le due Chiese di Roma e di Mosca.
Il problema ecumenico
A cent’anni dall’inizio del movimento ecumenico – inizio che
convenzionalmente viene datato nel giugno 1910, in occasione dell’Assemblea
internazionale promossa a Edimburgo dalle Società missionarie anglicane e
riformate – è doveroso chiedersi se le intese auspicate saranno soltanto
bilaterali, come tra Roma e Mosca, o potranno estendersi anche ai cristiani di
altre Chiese e Confessioni. Infatti l’unità per la quale Cristo ha pregato
riguarda tutti i suoi discepoli e riguarda la nostra intelligenza del mistero
dell’Una et sancta, che è l’intero suo Corpo, l’unica sua Chiesa.
Nel periodo del cammino successivo a Edimburgo, le Chiese Ortodossa e
Cattolica rimasero a lungo estranee al movimento ecumenico, che però “a
posteriori” Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ut unum sint, non esita a
riconoscere come nato e progredito sotto la guida dello Spirito Santo. E a noi
tocca vigilare perché il movimento ecumenico resti sotto l’azione dello Spirito e
non diventi iniziativa di politiche ecclesiastiche. In realtà persino l’ideale
dell’unità è esposto alla tentazione demoniaca di edificare una sorta di Babele
o di perseguire obiettivi mondani. Ora, camminare tutti insieme presenta molte
più difficoltà, ma offre più garanzie che ad operare sia lo Spirito.
Come allora – mi domando – dialogare con quella parte dell’ecumene
cristiana che, in campo antropologico ed etico, ha una visione diversa da
quella delle nostre tradizioni cattolica e ortodossa? Come riuscire a sentirsi
nella comunione – che è opera dello Spirito di Dio – anche con chi ha un
approccio culturale meno critico del nostro nei confronti della modernità e
della società contemporanea?
Il problema è molto complesso: personalmente non ho soluzioni o
proposte, come forse nessuno di noi le ha. Non per questo però dobbiamo
accantonarlo o procedere ignorandolo!
La carità di Dio (Deus caritas est) certamente non ignora questo
problema e ci chiede di farlo nostro. Sarebbe libertà senza responsabilità
scegliersi i compagni di navigazione e buttare a mare quelli scomodi. Il Signore
Gesù non l’ha fatto neppure con chi lo rinnegava o lo tradiva. Ora, le distanze
tra i cristiani, che hanno opzioni etiche e culturali differenti, sono molto
inferiori – anzi neppure paragonabili – a quelle tra Gesù e il suo traditore. Non
dimentichiamo che con l’unico battesimo i cristiani si appartengono gli uni gli
altri e divengono responsabili gli uni degli altri. Tutti dovremo rispondere
davanti a Dio di che cosa abbiamo cercato o non cercato di fare, a favore dei
fratelli di fede, per vivere con loro una comune e condivisa fedeltà alla sua
Parola.
Il riferimento a Cristo
La fedeltà al Cristo è accogliere il dono del comandamento nuovo, è
accoglierci gli uni gli altri con lo stesso amore con cui egli ci ha accolti e amati
(cfr. Gv 13,34). È, ancora, accogliere come chiamata il suo invito: “Imparate da
me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Nasce così la domanda se, nei
confronti dei nostri contemporanei e della società pluralista attuale, non
dobbiamo cercare un approccio che sia il più possibile nel segno della mitezza
e dell’umiltà del Signore Gesù. Senza mai rinunciare alla parresia di una parola
profetica, come e quando è lo Spirito a suggerirla, la nostra testimonianza deve
sempre imparare a conformarsi a quella del Cristo. Ciò avviene nella misura in
cui da Dio, e non da noi, ci attendiamo la sconfitta del male e l’avvento del
regno atteso.
Dopo Pasqua, i discepoli domandano quale è il tempo – se quello
presente o uno futuro – della realizzazione del regno promesso, ovvero di una
società giusta e perfetta nello shalom di Dio. Dal Risorto ricevono questa
risposta: “Non spetta a voi conoscere tempi e momenti che il Padre ha
riservato al suo potere…” (At 1,7). Non conoscerne tempi e momenti, ovvero le
modalità del suo avvento, implica anche il fatto di non avere adeguata
competenza e sufficiente potere per realizzare l’obiettivo: è invece un potere
che compete solo alla paternità di Dio.
Questa consapevolezza del proprio limite è l’umiltà di cuore che la
Parola chiede ai cristiani. Non comporta rassegnazione. Gesù Cristo ha vissuto
l’umiltà nel suo ministero, che non è stato certamente quello di un rassegnato
o di un rinunciatario. Anzi, proprio nell’umiltà della sua kenosis, la sua carne
umana è stato il luogo unico e singolare della manifestazione della gloria di
Dio: lo Spirito infatti gli faceva compiere le opere nel nome del Padre (cfr. Gv
5,25), non di se stesso.
Così può essere anche della presenza della Chiesa nella società: una
presenza senza pretese. Ciò avviene nella misura in cui i cristiani e le chiese
non presumono di sé e delle proprie possibilità, ma sanno limitarsi a dare con
coraggio e generosità il proprio contributo convinto e sincero alla ricerca del
bene comune, sapendo però che solo a Dio compete di condurre a compimento
il senso della storia e confidando che il suo Spirito lo sta comunque facendo,
al di là dei nostri riscontri.
Presenza e presenza pubblica, dunque, ma presenza nella mitezza: è
questa la condizione per mettersi in atteggiamento di ascolto e di dialogo con
qualsiasi differente identità religiosa o con qualsiasi alterità culturale. Inoltre,
presenza cristiana nella società è quella sempre consapevole che, nei confronti
del potere terreno e del suo esercizio, la sequela del Cristo comporta una certa
distinzione e una certa distanza, per non scordare del tutto né le sue parole –
“Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21)
–, né le sue scelte: “Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si
ritirò di nuovo sul monte, lui solo” (Gv 6,15). Proprio interiorizzando la
testimonianza evangelica del suo Signore, la coscienza cristiana offrirà alla
società un concreto e pubblico servizio, che potrà essere apprezzato e risultare
fecondo.
Religioni nello spazio pubblico e necessità del dialogo
L’istanza più volte espressa da Kirill sulla necessità del dialogo tra le
religioni, come tra le culture, presuppone l’ottica del ruolo positivo che deve
essere riconosciuto ai rappresentanti delle organizzazioni religiose e culturali
da parte delle istituzioni pubbliche della società. Egli lo auspica ai livelli
nazionale e internazionale. Penso che possa valere a tutti i livelli, anche a
quelli intermedi e locali della vita sociale. Il problema è di grande attualità e
importanza.
Oggi, nel contesto del pluralismo, appare più evidente di ieri che
l’esperienza religiosa non può essere confinata nella sfera privata. Anzi, spesso
viene riconosciuto come utile e imprescindibile il contributo di sapienza e di
discernimento che può venire dalle grandi tradizioni religiose in diversi ambiti
del pubblico dibattito: ad esempio, sulle questioni etiche e sulle relative norme
giuridiche, sulla ricerca e perseguimento del bene comune, sul governo della
convivenza civile tra componenti sociali portatrici di identità religiose o
culturali differenti.
Poiché ogni religione porta in se stessa inevitabilmente e giustamente
una pretesa di assolutezza di tipo veritativo, è necessario, soprattutto in
contesto di pluralismo religioso, che alle comunità religiose e alle loro
organizzazioni rappresentative lo spazio pubblico venga offerto dalle istituzioni
civili in modo equo e imparziale. Ciò esige reciprocità: il rispetto delle loro
autonomie da parte dello Stato e il rispetto del sistema legislativo e delle regole
democratiche da parte delle religioni.
Lo Stato deve saper essere la casa di tutti i cittadini – qualunque sia la
loro fede o appartenenza religiosa e culturale, etnica e sociale –, e pertanto non
può configurarsi in senso né etico né confessionale. Suo compito è favorire e
valorizzare la spontanea ed autonoma presenza delle religioni e il loro apporto
valoriale. In democrazia si terrà conto anche della loro reale e differente
consistenza storica e sociale nella vita del paese, curando tuttavia sempre i
diritti delle minoranze, ma armonizzandoli a quelli delle maggioranze.
Ora, allo scopo che le istituzioni civili si rapportino correttamente nei
confronti delle religioni, è pure necessario che le loro organizzazioni
rappresentative si incontrino per conoscersi e ascoltarsi, per dialogare e
collaborare, per constatare l’esistenza di principi etici comuni e concordare
come proporli correttamente alla vita sociale dei cittadini, ovvero al riparo dalle
derive del proselitismo, del fondamentalismo, dell’integralismo.
Sarebbe molto interessante che questa nostra esigenza di affrontare
criticamente la questione delle religioni nella spazio pubblico della “polis”
venisse confrontata – da chi si occupa di questo problema – con la visione
dell’Ortodossia espressa da Kirill. Nella nostra città, che si prepara a mettere
sul tappeto tale questione nel 2013, in occasione del XVII centenario del
rescritto di Costantino impropriamente chiamato “editto di Milano”, sarebbe
interessante che si incontrassero, in un seminario di studio, competenti – sia
ortodossi, sia cattolici e non – per un confronto alla luce del proficuo dibattito
che il libro del Patriarca Kirill certamente solleverà.
E far pensare e far dialogare è sempre un grande merito. È il merito che
volentieri attribuiamo a questa pubblicazione.
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
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